Le informazioni contenute in etichetta e sulle confezioni svolgono un ruolo molto importante e possono orientare le scelte dei consumatori in maniera determinante. Per esser sicuri di acquistare ciò che fa per noi è fondamentale imparare a leggere e decifrare le informazioni che ci parlano di un prodotto.
È importante saper leggere le etichette nutrizionali per capire il bilanciamento dei nutrienti e, alla luce di questo, decifrare le altre comunicazioni che sempre più spesso sono presenti sulla confezione, anche sotto forma di accattivanti slogan.
Slogan che influenzano inevitabilmente le nostre decisioni di acquisto, come testimonia l’ultimo Osservatorio Immagino di GS1 Italia.
Secondo l’Osservatorio, nel 2023 il paniere dei prodotti free from – ossia privi di alcuni componenti o ingredienti – ha superato gli 8 miliardi di euro di giro d’affari in supermercati e ipermercati, con un incremento del 9,7% rispetto alla cifra incassata nel 2022. Tra i claim “campioni di incassi” troviamo il “senza conservanti”, “pochi grassi”, “senza olio di palma”, “pochi zuccheri”, “senza coloranti”.
Alla luce di ciò, facciamo chiarezza riguardo il loro corretto utilizzo.
La regolamentazione europea in tema di etichette trova il suo riferimento principale nel Reg. 1169/2011 che contiene molte prescrizioni di notevole importanza purtroppo non tutte, e non sempre, applicate. Per questo motivo è bene fare chiarezza riguardo la possibilità di utilizzare specifici claim da parte delle aziende così da fornire ai consumatori gli strumenti adeguati per valutare l’opportunità e la veridicità di questo tipo di comunicazioni che, come testimonia il Rapporto dell’Osservatorio Immagino, orientano gli acquisti generando fatturato per le aziende.
“SENZA COLORANTI” E “SENZA CONSERVANTI”
Ad esempio, diciture quali “senza coloranti” o “senza conservanti” rientrano tra quelli pubblicitari per i quali si applicano i principi relativi alle pratiche leali d’informazione di cui all’art. 7 del Reg. 1169/2011. Tali indicazioni possono essere impiegate se apposte sull’etichette di prodotti che effettivamente possono utilizzare coloranti e conservanti e soprattutto se in commercio sono presenti prodotti analoghi che li contengano. Infatti, non posso essere millantate come caratteristiche distintive elementi che invece sono tipici di quel tipo di produzione.
“SENZA GRASSI” e “SENZA ZUCCHERI”
Le indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari trovano un riferimento normativo principale nel Reg. 1924/2006. Prendiamo dunque in considerazione le diciture relative alla presenza di grassi e di zuccheri, tra i claim “campioni di incassi”. La normativa prevede che:
- l’indicazione “a basso contenuto di grassi” è consentita solo se il prodotto contiene non più di 3 g di grassi per 100 g per i solidi o 1,5 g di grassi per 100 ml per i liquidi (1,8 g di grassi per 100 ml nel caso del latte parzialmente scremato);
- l’indicazione “senza grassi” è permessa solo se il prodotto contiene non più di 0,5 g di grassi per 100 g o 100 ml;
- l’indicazione che un alimento è “a basso contenuto di zuccheri” può essere utilizzata solo se il prodotto contiene non più di 5 g di zuccheri per 100 g per i solidi o 2,5 g di zuccheri per 100 ml per i liquidi;
- l’indicazione che un alimento è “senza zuccheri” è consentita solo se il prodotto contiene non più di 0,5 g di zuccheri per 100 g o 100 ml;
- la dicitura “senza zuccheri aggiunti” può essere usata solo se il prodotto non contiene mono o disaccaridi aggiunti o ogni altro prodotto alimentare utilizzato per le sue proprietà dolcificanti. Inoltre, se l’alimento contiene naturalmente zuccheri, in etichetta va inserita la seguente dicitura: “Contiene naturalmente zuccheri”.
“SENZA OLIO DI PALMA”
Relativamente alla dicitura “senza olio di palma” non è chiaro se il suo riferimento dovrebbe essere relativo alla salubrità del prodotto, legata al non contenere il citato ingrediente, oppure alla sua sostenibilità ambientale, concorrendo le colture di pama da olio, quando non certificate, alla deforestazione dei luoghi di produzione. Nel primo caso, l’ingrediente sarebbe tacciato di “pericolosità” principalmente per la quantità di grassi saturi. A riguardo, per fare un esempio pratico, olio di palma e burro in termini compositivi sono molto simili ed hanno un quantitativo di saturi importante e sostanzialmente equivalente. Come ricorda il CREA nelle sue linee guida per una sana alimentazione, i grassi saturi, indipendentemente dalla fonte, vanno assunti con moderazione, e se ne raccomanda un’assunzione che soddisfi al massimo il 10% del fabbisogno calorico giornaliero.
Nel secondo caso invece è bene ricordare che attualmente in Italia, quasi la totalità dell’olio di palma impiegato nell’industria alimentare è certificato come sostenibile. Inoltre, a seguito del recepimento del Regolamento n° 1115/2023 sui prodotti a deforestazione zero, non saranno più ammesse le forniture di materie prime se causa di deforestazione (tra le materie oggetto del Regolamento sono inclusi soia, carne bovina, olio di palma, legno, cacao, caffè, gomma). Grazie a questo Regolamento, a partire dal 1° gennaio 2025, dovremmo trovare su tutte le confezioni di prodotti, le cui materie prime sono legate in qualche maniera alla deforestazione un’indicazione puntuale di quale sia l’organismo di controllo che attesti che quel prodotto sia stato realizzato senza deforestazione.
“SENZA RESIDUI”
Secondo l’Osservatorio Immagino, ottime performance hanno registrato anche nuovi claim come “residuo zero/zero residui/senza residui”. Si tratta di diciture introdotte da qualche anno a questa parte. Queste etichette non sono da confondersi con il biologico che deve rispettare le regole stabilite con il Regolamento europeo 848/2018 e verificato, con esito positivo, da uno degli enti accreditati presso il Ministero dell’Agricoltura. A differenza del biologico, che segue un preciso percorso di certificazione, con dei costi, questi label si basano sul risultato finale, ovvero sull’assenza di pesticidi nel prodotto finito, e non sull’uso o meno di prodotti chimici durante l’intero ciclo produttivo. L’uso di pesticidi è dunque autorizzato, ma si evitano trattamenti tardivi o si privilegiano molecole a dissolvimento rapido. Attenzione: questo approccio può rassicurare relativamente all’impatto sulla salute dei consumatori ma, da un punto di vista della tutela dell’ambiente, non è risolutivo in quanto autorizza comunque l’uso di pesticidi di sintesi.
“SOSTENIBILE” – “GREEN” – “ECOFRIENDLY” – “ECOLOGICO”
Altro aspetto che viene confermato dall’Osservatorio Immagino è il crescente interesse dei consumatori nei confronti della sostenibilità. Complessivamente l’83,8% dei prodotti oggetto della ricerca presenta sulla confezione almeno un riferimento ai temi della sostenibilità. Il tema più frequente è quello ambientale (83,6% dei prodotti), espresso soprattutto dalle indicazioni pratiche per la gestione del prodotto e della raccolta differenziata. Si pensi che gli oltre 116 mila prodotti di questo paniere hanno realizzato 43,8 miliardi di euro di vendite.
Un’attenzione particolare va dedicata però ai così detti claim generici. L’Osservatorio li ha individuati sulle etichette di 9.727 prodotti (7,0% del totale) con 5,2 miliardi di euro di giro d’affari (11,0% del totale). Il più diffuso tra i cinque claim generici rilevati è “sostenibile”, seguito da “green” , “ecofriendly”, “circolarità”, “ecologico”.
A riguardo giova ricordare che le comunicazioni generiche relative alla sostenibilità saranno vietate a partire dal 27 marzo 2026, cioè da quando gli stati membri dovranno recepire la direttiva ECGT (Empowering Consumer for the Green Transition), entrata in vigore lo scorso marzo.
Con questa direttiva viene ribadita la responsabilità degli operatori economici di fornire informazioni chiare, pertinenti e affidabili ai consumatori, contrastando così le pratiche commerciali sleali che ingannano i consumatori e impediscono loro di compiere scelte di consumo sostenibili, come ad esempio le pratiche associate alle asserzioni ambientali ingannevoli (il così detto “greenwashing”), le informazioni ingannevoli sulle caratteristiche sociali dei prodotti o delle imprese, i marchi di sostenibilità non trasparenti e non credibili.
Grazie a questa direttiva, verranno considerate ingannevoli pratiche quali:
- esibire un marchio di sostenibilità che non è basato su un sistema di certificazione o non è stabilito da autorità pubbliche;
- formulare un’asserzione ambientale generica per la quale l’operatore economico non è in grado di dimostrare l’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali pertinenti all’asserzione;
- formulare un’asserzione ambientale concernente il prodotto nel suo complesso o l’attività dell’operatore economico nel suo complesso quando riguarda soltanto un determinato aspetto del prodotto o uno specifico elemento dell’attività dell’operatore economico;
- asserire, sulla base della compensazione delle emissioni di gas a effetto serra, che un prodotto ha un impatto neutro, ridotto o positivo sull’ambiente in termini di emissioni di gas a effetto serra;
- presentare requisiti imposti per legge sul mercato dell’Unione per tutti i prodotti appartenenti a una data categoria come se fossero un tratto distintivo dell’offerta dell’operatore economico.